Con la sentenza numero 4547 del 8-10 / 26-10 2015 il Consiglio di Stato (qui il testo integrale della sentenza) ha messo la parola fine alla querelle relativa alla trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero. La vicenda è nota alle cronache.

Accadeva che nel 2014 e a seguire, alcuni sindaci, divenuti in seguito molti sindaci, pervenivano a trascrivere nei registri dello stato civile i matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso che ne facevano richiesta.

In particolare, tra i tanti rammentiamo i  casi di Empoli, quello di Bologna in cui addirittura il sindaco Virginio Merola, nel proprio comunicato stampa, poneva in essere una sorta di formale atto di “disobbedienza” civile affermando che “Con provvedimento notificato il 3 novembre 2014, il Prefetto di Bologna ha disposto l’annullamento degli atti di trascrizione di nozze contratte all’estero tra persone dello stesso sesso, e ha ordinato al Sindaco di provvedere alla cancellazione dal registro dei matrimoni. Il Sindaco non cancellerà nessuno degli atti trascritti, e risponderà al Prefetto affinché provveda lui al concreto annullamento” (sic !) .

Sicuramente il caso più eclatante a livello mediatico fu quello relativo al comune di Roma il cui sindaco, Ignazio Marino, perveniva a trascrivere nello stesso giorno e in una sorta di pubblica cerimonia ufficiale, ben sedici di queste unioni.

LE REAZIONI, LE POLEMICHE E LE CONTROREAZIONI

Reazioni e polemiche si levavano, anche a livello ufficiale e addirittura istituzionale.

Anzi, si scatenava una vera e propria battaglia vorticosa fatta si esposti, denunce, ordinanze e contro esposti.

Molti prefetti (per esempio quello di Udine, quello di Roma ecc. ) si ponevano di traverso rispetto a tali illegittime iniziative dei molti sindaci ed emanavano ordinanze volte ad ottenere l’annullamento e la cancellazione di siffatte trascrizioni.

In alcuni comuni, i consiglieri comunali presentavano esposti e denunce contro l’illegittima iniziativa dei primi cittadini.

Anche alcune associazioni, tra cui Notizie Pro vita e Giuristi per la Vita, presentavano esposti e denunce contro i sindaci di Empoli e di Roma.

D’altro canto, altre associazioni tipo il Codacons e Rete Lenford presentavano le proprie denunce ma per opposti motivi, ossia, ponendosi contro le ordinanze prefettizie che ordinavano la cancellazione dei matrimoni trascritti.

Interveniva addirittura il Ministro dell’Interno Angelino Alfano che, in una circolare del 7 ottobre 2014 affermava che tali trascrizioni erano illegittime.

L’INTERVENTO DELLA MAGISTRATURA: IL TAR DEL LAZIO

Adito il tribunale amministrativo regionale del Lazio, questi si pronunciava affermando il seguente principio di massima: “l’attuale disciplina nazionale non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono trascrivibili nei registri dello stato civile“. Tuttavia, continua, “l’annullamento di trascrizioni nel registro dello stato civile di matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, celebrati all’estero, può essere disposto solo dall’Autorità giudiziaria ordinaria“. E quindi “il ministero dell’Interno e le Prefetture, quindi, non hanno il potere di intervenire direttamente, annullando le trascrizioni nel registro dello stato civile di matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, celebrati all’estero“.

LA PRONUNCIA DEL CONSIGLIO DI STATO

Arriviamo ai giorni nostri. La sentenza del Tar Laziale veniva impugnata dal Ministero dell’Interno avanti al Consiglio di Stato che perveniva alle conclusioni oramai note alle cronache, in quanto riprese dall’Ansa e quindi dai principali quotidiani nazionali.

I giudici di legittimità dapprima evidenziano i due temi centrali sottoposti a disamina:

  1. la intrascrivibilità dei matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso così come accertata dal tribunale capitolino
  2. la illegittimità del provvedimento prefettizio di annullamento delle relative trascrizioni

Viene trattato per ordine logico il primo punto. Il Consiglio muove dalla disamina della legislazione di diritto internazionale privato, affermando che la regolamentazione italiana dell’istituto matrimoniale, muove dal presupposto innegabile che esso possa e debba essere unicamente tra un uomo e una donna: “risulta agevole individuare la diversità di sesso dei nubendi quale la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio, secondo le regole codificate negli artt.107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c. ed in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna“.

Dunque, la caratterizzazione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, al di là delle valutazioni dogmatiche del vizio a monte che lo affligge (che il giudice afferma essere comunque irrilevante ai fini della decisione), invero difetta nell’ordinamento giuridico italiano di un requisito indispensabile e ontologicamente connaturato all’istituto proprio del matrimonio in Italia, ossia la differenza sessuale tra i nubendi.

Riscontrata così l’inattitudine del matrimonio omosessuale contratto all’estero da cittadini italiani di produrre qualsivoglia effetto giuridico in Italia, i giudici del Consiglio di Stato vanno ad esaminare il regime positivo della sua trascrivibilità negli atti dello stato civile.

Risulta, al riguardo, decisiva la previsione dell’art.64 del d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) che, là dove cataloga (con un’elencazione tassativa) gli elementi e i contenuti (formali e sostanziali) prescritti per la trascrivibilità dell’atto di matrimonio, impone evidentemente (ancorchè implicitamente) all’ufficiale dello stato civile il potere (rectius: il dovere) di controllarne la presenza, prima di procedere alla trascrizione dell’atto (da valersi quale atto dovuto, pur a fronte della sua natura dichiarativa, e non costitutiva, solo se ricorrono tutte le condizioni elencate nella predetta disposizione).

Ne consegue che il corretto esercizio della predetta potestà impedisce all’ufficiale dello stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero, per il difetto della condizione relativa alla “dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett. e), d.P.R. cit., quale condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica, codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie).

Il Consiglio poi si sofferma anche sulle censure proposte dagli appellanti incidentali, in merito alla supposta prevalenza ed applicabilità nel ns. ordinamento interno di principi affermati in atti europei e convenzioni internazionali. Sul punto, osservano i giudici, “La compatibilità del divieto, in Italia, di matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati all’estero) è già stata scrutinata ed affermata dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n.170; sent. 15 aprile 2010, n.138; ordinanze n. 4 del 2011 e n.276 del 2010), che ha chiarito come la regolazione normativa censurata risulti, per un verso, compatibile con l’art.29 della Costituzione (contestualmente interpretato come riferito alla nozione civilistica di matrimonio tra persone di sesso diverso) e, per un altro, conforme alle norme interposte contenute negli artt.12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (d’ora innanzi Carta di Nizza), nella misura in cui le stesse rinviano espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i contenuti, la disciplina dell’istituto del matrimonio, riservandosi l’eventuale delibazione dell’incostituzionalità di disposizioni legislative che introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie omosessuali in relazioni ad ipotesi particolari (per le quali si impone il trattamento omogeneo tra le due tipologie di unioni)“.

Il Consiglio di Stato inoltre si sofferma in un’attenta disamina dei più peculiari casi controversi in tema, ed affrontati in seno alle corti europee sovranazionali pervenendo a fornire una lettura che contrasta nettamente con certe forzature (talvolta ideologiche) finalizzate a sostenere una sorta di “arretratezza” dell’Italia, ovvero di non adeguamento da parte del nostro Stato rispetto ai principi sovranazionali in tema di unioni e/o matrimoni omosessuali.

Afferma infatti il Consiglio di Stato che le medesime conclusioni, circa la piena autonomia e legittimità della normativa vigente attualmente in Italia, che delimita il matrimonio unicamente tra persone di sesso differente, “si impongono anche all’esito dell’interpretazione della normativa di riferimento alla stregua degli artt.8 e 12 della CEDU, per come interpretati dalla Corte di Strasburgo (in particolare nella recente sentenza in data 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Repubblica Italiana, indicata dagli appellanti incidentali a sostegno della prospettazione ermeneutica proposta). La tesi sostenuta dagli appellanti incidentali, secondo la quale il rispetto del dictum del recente pronunciamento della Corte di Strasburgo imporrebbe all’interprete una lettura della normativa nazionale permissiva delle trascrizioni in questione (secondo i canoni consacrati nelle sentenze della Corte Costituzionale nn.348 e 349 del 2007, n.80 del 2011 e n.15 del 2012), per quanto brillantemente formulata ed argomentata, non persuade e non vale, in ogni caso, a superare l’infrangibile ostacolo dell’art. 29 Cost. (per come inteso e valorizzato dalla Corte Costituzionale)Una lettura attenta della sentenza c.d. Oliari, infatti, non solo non avalla l’assunto degli originari ricorrenti, ma ne costituisce, al contrario, la più efficace smentitaLa Corte di Strasburgo, infatti, con la predetta sentenza, ha, da un lato, riconosciuto la violazione da parte dello Stato italiano, con un significativo esempio di overruling, dell’art.8 della CEDU, che tutela la vita familiare, nella misura in cui non assicura alcuna protezione giuridica alle unioni omosessuali, ma ha, da un altro lato, confermato la precedente giurisprudenza (sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria) che negava la configurabilità dell’inosservanza dell’art.12 (diritto al matrimonio), e, quindi, del corrispondente art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (d’ora innanzi Carta di Nizza), ribadendo, al riguardo, che la regolazione legislativa del matrimonio e, quindi, l’eventuale ammissione di quello omosessuale (che la Corte non ritiene, in astratto, vietato) rientra nel perimetro del margine di apprezzamento e, quindi, della discrezionalità riservata agli Stati contraenti. Lungi, quindi, dall’affermare l’obbligo della Repubblica italiana di riconoscere il diritto al matrimonio omosessuale, la Corte di Strasburgo ha espressamente e chiaramente negato la sussistenza e, quindi, a fortiori, la violazione di tale (presunto) diritto, limitandosi ad imporre allo Stato di assicurare una tutela giuridica alle unioni omosessuali (ma, anche qui, riconoscendo un margine di apprezzamento, seppur più limitato, nella declinazione delle sue forme e della sua intensità)“.

Quindi, in definitiva, il Consiglio di Stato perviene all’affermazione di siffatto principio: “Non appare, in definitiva, configurabile, allo stato del diritto convenzionale europeo e sovranazionale, nonché della sua esegesi ad opera delle Corti istituzionalmente incaricate della loro interpretazione, un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale, sicchè il divieto dell’ordinamento nazionale di equiparazione di quest’ultimo a quello eterosessuale non può giudicarsi confliggente con i vincoli contratti dall’Italia a livello europeo o internazionale“.

E il fatto che tale normativa sia vincolante e non interpretabile, viene sottolineato dai giudicanti con un ammonimento a quanti (spesso giudici) si lanciano in forme di interpretazione creativa del diritto: “nel contesto del dibattito politico e culturale in corso in Italia sulle forme e sulle modalità del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sconsiglia all’interprete qualsiasi forzatura (sempre indebita, ma in questo contesto ancor meno opportuna) nella lettura della normativa di riferimento“.

Rigettato in toto, l’appello incidentale e sancito in modo chiaro che in “matrimonio tra persone omosessuali”, non assurge a diritto nel nostro ordinamento giuridico e non può essere affatto oggetto di trascrizione, il Consiglio passa alla disamina della seconda questione che riproponiamo in termini di domanda: è legittimo che i prefetti annullino le trascrizioni operate dai Sindaci?

Affermano i giudici che “Nel nostro ordinamento l’esercizio di alcune funzioni di competenza statale è stato affidato al Sindaco, che le esercita non come vertice dell’ente locale, ma nella diversa qualità di ufficiale di governo”.

Pertanto, a corollario di ciò si aggiunga che “Il particolare modello organizzativo in esame implica che la titolarità della funzione resta intestata all’amministrazione centrale (e, segnatamente, al Ministero dell’interno) e che il Sindaco la esercita solo quale organo delegato dalla legge”.

Arrivando direttamente al punto che qui interessa omettendo stralci intermedi della motivazione, leggiamo in sentenza che (con riferimento al nostro sistema organizzativo)  “Si tratta, come si vede, di un sistema coerente e coordinato di disposizioni che configurano la relazione interorganica in questione come di subordinazione del Sindaco al Ministero dell’interno, e, per esso, al Prefetto, e che assoggettano, quindi, il primo ai poteri di direttiva e di vigilanza del secondo (Cass. SS. UU., 13 ottobre 2009, n.21658; Cass. Civ., sez. I, 14 febbraio 2000, n.1599)”.

Al quesito finale, se il Prefetto ha il potere di annullare gli atti del sindaco, il Consiglio di Stato risponde in modo netto: “Reputa il Collegio che la potestà in questione debba intendersi implicitamente implicata dalle funzioni di direzione (art.54, comma 12, d.lgs. cit.), sostituzione (art.54, comma 11, d.lgs. cit.) e vigilanza (art.9, comma 2, d.P.R. cit.)”.

Per concludere:  i matrimoni omosessuali non sono trascrivibili in Italia e ben hanno fatto i prefetti ad annullare gli illegittimi atti di trascrizione.

Fine della vicenda ?

Forse no. Numerosissimi (come detto sopra) erano stati gli esposti e denunce presentate nei confronti dei sindaci che avevano perpetrato tali atti illegittimi. E giova all’uopo, soffermarsi su un passaggio della sentenza appena riportata laddove afferma: “Risulta, al riguardo, decisiva la previsione dell’art.64 del d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) che, là dove cataloga (con un’elencazione tassativa) gli elementi e i contenuti (formali e sostanziali) prescritti per la trascrivibilità dell’atto di matrimonio, impone evidentemente (ancorchè implicitamente) all’ufficiale dello stato civile il potere (rectius: il dovere) di controllarne la presenza, prima di procedere alla trascrizione dell’atto (da valersi quale atto dovuto, pur a fronte della sua natura dichiarativa, e non costitutiva, solo se ricorrono tutte le condizioni elencate nella predetta disposizione)“.

Ovverosia, l’Ufficiale di stato civile ha il dovere di controllare i presupposti per la trascrizione: che dire allora, di quei sindaci che “apertamente” e in modo volutamente provocatorio si ostinavano a diramare comunicati stampa con cui declamavano le trascrizioni, organizzavano cerimonie, addirittura si ponevano in aperto contrasto istituzionale con le prefetture dichiarando che “non avrebbero affatto cancellato” le trascrizioni avvenute?

                articolo di Filippo Martini