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Interessante sentenza del Tar Lazio concernente il noto portale web “Tripadvisor”: un pronunciamento che riguarda le c.d. pratiche commerciali scorrette tenuto conto delle informazioni offerte dal professionista sul portale on line e direttamente inserite dai consumatori … che tuttavia non sempre risultano “veri” consumatori.

L’Agcom comminava una sanzione di ben 500.000 euro ponendo in evidenza come il portale ingenerasse il falso convincimento sulla “bontà” o meno di determinate strutture ricettive, senza controllare che alcune inserzioni degli utenti potessero risultare mendaci.

L’Agcom, stando alla sentenza, poneva in rilievo la circostanza per cui Tripadvisor fosse consapevole di tale rischio e adottasse un sistema di registrazione al sito molto (o forse troppo ?) agevole.

Tripadvisor impugnava il suddetto provvedimento sanzionatorio adducendo l’estraneità rispetto alle politiche commerciali della capogruppo inglese TripAdvisor LLC.

Inoltre, i ricorrenti lamentavano che l’Agcom non avrebbe considerato, con la dovuta attenzione le abitudini del consumatore medio dei servizi internet quale soggetto particolarmente capace e abituato a vagliare ed analizzare in senso critico le stesse.

All’esito, il Tar del Lazio afferma che le false recensioni sul sito non costituiscono pratica commerciale ingannevole.

Si afferma che nei claims si farebbe riferimento a mere opinioni soggettive dei recensori, senza l’ausilio o intermediazione di professionisti.

Inoltre, è stata abile Tripadvisor ad inserire nei claims, l’affermazione per cui gli utenti possono trovare  «tante recensioni vere e autentiche».

Anche in forza di ciò il Tar afferma che “non si sostiene che tutte le recensioni siano vere e autentiche”, asserzione, questa sì, che sarebbe stata ingannevole. Cosa può cambiare una sola parola: “tante” anziché “tutte”. Nel caso di specie cambia per ben 500.000 euro !

Altre ed interessanti le argomentazioni addotte, per le quali si invita alla lettura dell’interessante sentenza di seguito riportata.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/1″][vc_accordion][vc_accordion_tab title=”Tar Lazio sez. I 13 luglio 2015 n. 9355″][vc_column_text]REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3118 del 2015, proposto da:
T.I. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Berliri, Francesca Angeloni, Sacha D’Ecclesiis e Gaia Gelera, con domicilio eletto presso lo Studio del primo in Roma, piazza Venezia, 11;
contro
– Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
– Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
nei confronti di
– Federazione Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (Federalberghi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Edoardo Gambaro, Antonio Papi Rossi, Francesco Mazzocchi e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via F. Confalonieri, 5;
– Unione Nazionale Consumatori, Agriturismo La Vecchia Azienda Agricola La Vecchia di D.B.F., G.D.B.;
sul ricorso numero di registro generale 3120 del 2015, proposto da:
T. LLC, società di diritto inglese, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Berliri, Francesca Angeloni, Sacha D’Ecclesiis e Gaia Gelera, con domicilio eletto presso lo Studio del primo in Roma, piazza Venezia, 11;
contro
– Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
– Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
nei confronti di
– Federazione Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (Federalberghi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Edoardo Gambaro, Antonio Papi Rossi, Francesco Mazzocchi e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via F. Confalonieri, 5;
– Unione Nazionale Consumatori, Agriturismo La Vecchia Azienda Agricola La Vecchia di D.B.F., G.D.B.;
per l’annullamento, previe misure cautelari,
per entrambi i ricorsi, n. 3118 del 2015 e n. 3120 del 2015:
– del Provv. n. 25237 del 19 dicembre 2014 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato notificato via pec il 22.12.2014, nell’ambito del procedimento PS9345, con cui le ricorrenti sono state sanzionate, in solido, al pagamento dell’importo di Euro 500.000 per una pretesa pratica commerciale scorretta consistente nella diffusione di informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni pubblicate sul sito internet www.T..it; nonchè di ogni atto ad esso presupposto, connesso o consequenziale, tra cui, per quanto necessario, il parere dell’Autorità Garante nelle Comunicazioni, ex art. 27, comma 6, D.Lgs. n. 206 del 2005, prot. 634/14/CONS del 18.12.2014, richiamato nel suddetto provvedimento dell’Autorità e conosciuto dalle ricorrenti con l’accesso agli atti del 15.01.2015, e la comunicazione dell’Autorità di avvio del procedimento del 13.05.2014.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nei giudizi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust e della Federazione Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi, con le relative documentazioni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 20 maggio 2015 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo

In seguito ad alcune segnalazioni pervenute e da informazioni acquisite d’ufficio sul sito internet www.T..it, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) riteneva di riscontrare la diffusione di informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni presenti in detto sito, avente ad oggetto, notoriamente, la diffusione di informazioni turistiche, consistenti in recensioni di utenti, registrati sul medesimo sito, che rilasciano giudizi sui profili di strutture ricettive (di ristorazione, alberghiere, di “bed and breakfast” e natura simile), dopo averne usufruito.
Ne seguiva quindi la formale apertura di un procedimento, contraddistinto anche da un’ispezione presso la sede della T.I. srl, cui partecipavano, oltre alle interessate (facenti parte del Gruppo “T.” e del quale la società italiana è fornitrice di servizi di “marketing” a T. Limited UK, società di diritto anglosassone che, a sua volta, si occupa di sviluppo, promozione e valorizzazione del “business” in questione in Europa, Medio Oriente e Africa), anche le segnalanti Federazione Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi e “Agriturismo La Vecchia”.
All’esito era adottato il provvedimento in epigrafe, con il quale l’AGCM, riscontrando l’esercizio di una pratica scorretta e, di conseguenza, la violazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, ne vietava la diffusione e continuazione, irrogando in solido alle suddette società del Gruppo la sanzione di Euro 500.000,00.
In sintesi, nel descrivere la pratica in questione, l’AGCM evidenziava che risultavano diffuse informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni. Specificando il concetto, l’Autorità precisava che “…T., infatti, pur dichiarando di non controllare i fatti contenuti nelle recensioni ed essendo a conoscenza che sul predetto sito vengono pubblicate false recensioni, sia di valenza positiva che negativa, da parte di utenti che non hanno effettivamente fruito dei servizi offerti dalle strutture presenti nel database, utilizza informazioni particolarmente assertive, come tali idonee ad accrescere la fiducia dei consumatori sul carattere autentico e genuino delle recensioni pubblicate dagli utenti”. Seguivano, quindi, sei citazioni dal sito che avrebbero attestato tale carattere assertivo.
Illustrando il modello imprenditoriale di T. (vendita di spazi pubblicitari all’interno del sito con forme di remunerazione basate sugli schemi cc.dd. “click-based” o “display-based”, ove l’ammontare è relazionato con il volume di “click” generato dai visitatori sui “link” pubblicitari” ovvero sulla base di un numero di visualizzazioni dei “banner” collocati sul sito), l’AGCM si soffermava sulla struttura della piattaforma, rilevando che, dai rilievi svolti d’ufficio, era emerso che risultava molto facile registrarsi al sito, anche usando un “server proxy” e un servizio di mail temporanea, dato che il professionista non predisponeva alcun “captcha” (test di riconoscimento in cui si chiede all’utente di scrivere lettere e/o numeri presenti in una sequenza che appare distorta o offuscata sullo schermo) né inviava alcuna e-mail per verificare la validità dell’indirizzo di posta elettronica utilizzato per la creazione dell'”account” utente. Era poi precisato che l’utente poteva pubblicare la sua recensione dopo aver compilato un modulo, che la pubblicazione avveniva dopo 24-48 ore se conforme al regolamento di T., fermi tempi più lunghi per approfondimenti, che poteva avvenire la pubblicazione di più recensioni da parte dello stesso utente nel rispetto dei limiti temporali di cui al detto regolamento, anche se contava la validità della sola ultima recensione ai fini del calcolo dell’indice di “popolarità” che classificava le strutture.
L’AGCM riconosceva che al momento della pubblicazione di una recensione T. informa gli utenti sulla politica adottata per contrastare la pubblicazione di recensioni non veritiere, chiedendo di aderire (“opting-in”) ad una specifica dichiarazione, ma evidenziava anche che era emerso, da rilievi d’ufficio, che svariati utenti avevano rilasciato recensioni per strutture che presentavano ancora un profilo “aperto”, pur non essendo più attive sul mercato. Era altresì indicato che i rappresentanti ufficiali delle strutture hanno la facoltà di replicare alle recensioni pubblicate dagli utenti, con pubblicazione dopo qualche giorno e sotto la relativa precedente recensione oggetto di replica, senza avere comunque una diretta incidenza nell’indice di popolarità.
L’Autorità, quindi, riportava le dichiarazioni di T. in relazione al sistema di controllo delle recensioni adottato mediante controllo automatico e manuale (quest’ultimo prima e dopo la pubblicazione sul sito) e al numero delle false recensioni individuate, con le conseguenti modalità di attribuzione di “penalizzazioni” alle strutture, se coinvolte.
Era, poi, richiamata la presenza di una serie di recensioni palesemente non veritiere tra il 27.8.2014 e il 9.9.2014 perché riferite a strutture non più attive, anche da tempo, o perché riconducibili a un profilo di evidente fantasia o perché riferite ad un periodo in cui la struttura interessata era stata chiusa, secondo quanto anche evidenziato da iniziative in tal senso della Federalberghi, quale soggetto segnalante.
Dopo aver riportato le argomentazioni difensive del professionista e il contenuto del parere dell’AgCom, l’Autorità esprimeva quindi la sua valutazioni conclusive.
In queste, l’AGCM ribadiva che la condotta esaminata dava luogo alla diffusione di informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni pubblicate, correlata alla inidoneità degli strumenti e delle procedure adottate per contrastare il fenomeno delle false recensioni, idonea a influenzare le determinazioni di un’ampia platea di consumatori, i quali, affidandosi all’asserito carattere genuino e autentico delle recensioni, orientano le proprie preferenze.
Pur riconoscendo che il professionista si era dotato di un articolato sistema di controllo delle recensioni e di misure di contrasto alle attività collegate con il rilascio delle false recensioni, l’AGCM evidenziava che esso non era stato in grado di vagliare effettivamente, e in maniera efficace, la genuinità del loro contenuto informativo né l’attendibilità della valutazione complessiva che con le stesse si rilascia alle strutture, non essendo mai il professionista effettivamente in grado di verificare la veridicità delle informazioni di cui alle recensioni.
Richiamando una delle argomentazioni difensive, secondo le quali l’elevatissimo numero di recensioni non consentiva i controlli richiesti, l’AGCM evidenziava una delle citazioni dal sito per ritenerne il carattere ingannevole, ove era detto “Non importa se preferisci le catene alberghiere o gli hotel di nicchia: su T. puoi trovare tante recensioni vere e autentiche, di cui ti puoi fidare. Milioni di viaggiatori hanno pubblicato on-line le proprie opinioni più sincere su hotel, bed & breakfast, pensioni e molto altro”,
Tale carattere ingannevole si deduceva dalla circostanza per la quale il sistema di controllo non era intrinsecamente predisposto per realizzare tale verifica, in quanto vi era scarsità di risorse umane (soli 5 dipendenti nel gruppo di investigazione per l’Europa, di cui solo uno conoscente l’italiano) e facilità di registrazione degli utenti, dovuta all’assenza di “captcha” e alla possibilità per l’interessato di rilasciare una recensione anche mediante “nickname”, dando così luogo ad un aumento delle stesse recensioni che risulta funzionale al sistema di remunerazione dell’attività del professionista.
Né la facoltà di replica concessa ai rappresentanti ufficiali delle strutture appariva per l’AGCM rilevante, data la sua mera natura informativa e la non incisione sull’indice di popolarità che classifica le strutture stesse.
La diffusione dei sei “claim” contestati – per l’Autorità – fondava la conclusione per la quale T. aveva veicolato ai consumatori informazioni di natura decettiva, in quanto l’articolato sistema di controllo delle recensioni di cui si avvale non consente di verificare comunque il carattere genuino e veritiero delle stesse.
La diffusione tramite “internet” rafforzava poi tale carattere decettivo e non tutta l’ampia platea di consumatori, pur se in qualche modo esperta della consultazione informatica, poteva necessariamente essere a conoscenza del fenomeno delle false recensioni e, quindi, in grado di orientare consapevolmente le proprie scelte di consumo dinanzi ad un “quadro informativo alterato” che tende a far ritenere attendibili, tramite i richiamati “slogan”, le recensioni pubblicate. In sostanza, il professionista era venuto meno all’obbligo di mettere a disposizione dei consumatori “fin dal primo contatto, un quadro informativo chiaro, esaustivo e veritiero in relazione alla promozione di servizi sottesa alle condotte contestate”.
Era quindi disposta l’inibitoria dalla condotta e irrogata la sanzione pecuniaria di Euro 500.000,00.
Con due distinti ricorsi a questo Tribunale, ritualmente notificati e depositati, T.I. srl e T. LLC chiedevano l’annullamento, previa sospensione, di tale provvedimento.
Dopo aver descritto il sito internet in esame e la successione del procedimento avanti all’Autorità, le ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.
Per quel che riguardava la sola T.I. srl:
“I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990. Violazione dell’art. 24 Cost. (diritto di difesa), dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti del’Uomo (CEDU) e degli artt. 1, 2, 3, 7, 8, 9, 10 della L. n. 241 del 1990. Violazione del principio del giusto procedimento e del principio di proporzionalità. Violazione dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento della Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, perplessità, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta”.
Il sito in esame è interamente gestito da T. LLC, come si evince dai termini e condizioni di utilizzo del medesimo, e la ricorrente non ne ha la proprietà né la gestione e non ne esercita alcun controllo, limitandosi all’assistenza clienti e a consulenze di “marketing offline”, senza avere alcun potere decisionale sulle pratiche commerciali, secondo uno schema proprio di tutte le multinazionali operanti nel settore “online” e che è stato riconosciuto come idoneo a configurare l’estraneità delle filiali italiane da giurisprudenza dell’a.g.o. che era riportata. Così pure il Tribunale di Parigi aveva riconosciuto l’estraneità di T. France in merito alla responsabilità del sito analogo francese.
Tale estraneità comportava anche l’illogicità dell’inibitoria come disposta, non potendo la ricorrente assumere alcuna iniziativa in ordine alla rimozione della pratica ritenuta scorretta.
Per quanto riguardava entrambe le ricorrenti, erano poi proposti motivi identici che si riportano unitamente.
“II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990. Violazione dell’art. 24 Cost. (diritto di difesa), dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti del’Uomo (CEDU) e degli artt. 1, 2, 3, 7, 8, 9, 10 della L. n. 241 del 1990. Violazione del principio del giusto procedimento e del principio di proporzionalità. Violazione dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento della Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, perplessità, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta”.
Non vi era stata alcuna lamentela o denuncia di consumatori sulla fattispecie nonostante la normativa ritenuta violata miri a tutelare tali soggetti e solo questi.
Inoltre, sulla richiesta di audizione avanzata nel corso del procedimento, le ricorrenti lamentavano che questa fosse stata fissata per il 18.11.2014, ossia lo stesso giorno di chiusura della fase istruttoria, in violazione dell’art. 16, comma 1, del Regolamento di procedura della stessa Autorità, nonché dell’art. 6, comma 1, del CEDU e rendendo impossibile il deposito di ulteriori documenti necessari a seguito dell’audizione in questione.
Non risultava, infine, concessa la proroga richiesta nella fase istruttoria nel novembre 2014 al fine di comunicare in tempo gli atti alla T., società di diritto statunitense che gestisce il sito, anche se l’AGCM aveva ritenuto di estendere il termine per la chiusura del procedimento a solo proprio ed esclusivo favore.
“III. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990. Violazione del Considerando 6, 7, 18 e dell’art. 2, primo comma, lett. e) e k) della Direttiva 2005/29/CE . Eccesso di potere per grave carenza di motivazione e di istruttoria, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, perplessità, illogicità, ingiustizia e contraddittorietà manifeste. Violazione del principio di proporzionalità”.
Risultava carente il presupposto fondamentale di cui agli artt. 20-22 Codice del Consumo ritenuti violati, in quanto, dei sei “claims” evidenziati, solo due contenevano riferimenti alla veridicità/affidabilità delle recensioni ed erano comunque posti in posizione marginale nel sito, in tre delle molteplici pagine di cui questo si compone, e mai nelle pagine visitate per la consultazione o per il rilascio delle recensioni ovvero in quelle che descrivono le strutture (in caso di eventuale rimando diretto da siti di ricerca).
Erano poi presenti nel sito molteplici “disclaimer”, di carattere ben più ampio, che contenevano avvisi in ordine al controllo delle recensioni e evidenziavano la “presa di distanza” di T. dalle opinioni degli utenti.
Non si verificava, quindi, alcuna influenza sulle scelte dei consumatori, risultando sufficiente la specificazione sulla mancanza di riconducibilità delle opinioni a T., come riconosciuto dal Tribunale Civile di Roma per un noto sito informatico contenente una enciclopedia “online” formata con i contributi degli utenti, del tutto riconducibile, nell’impostazione generale, a quello in esame.
Le recensioni su Tripdavisor sono quindi da intendersi “vere” nel senso che costituiscono opinione di gente comune e non di professionisti remunerati a tale scopo, come facilmente percepibile, ma l’Autorità non aveva approfondito questa fondamentale caratteristica di impostazione, emersa anche in sede di istruttoria.
Inoltre, l’AGCM doveva valutare che il “consumatore” da considerare è quello che naviga su internet e, come tale, si differenzia dalla generalità degli utenti. Nel caso di specie, coloro che si servono del sito in questione sono perfettamente coscienti, navigando abitualmente nel “web” per organizzare il proprio tempo libero, che i risultati e le informazioni devono essere vagliate e analizzate in senso critico, proprio per le caratteristiche dei dati ivi contenuti.
Da studi specifici risultavano infatti dati precisi che evidenziavano come l’85% degli utilizzatori italiani di T. legge dalle sei alle dodici recensioni per ciascuna struttura, proprio al fine di tale analisi critica, il 62% ignora i commenti eccessivi, il 64% utilizza il sito una volta alla settimana, il 95% trova le recensioni accurate.
Infine, le espressioni ritenute decettive corrispondono in realtà a quelle normalmente presenti in altri siti, come quelli bancari o finanziari e, quindi, come tali, costituiscono una normale pratica pubblicitaria, come ammessa dalla stessa normativa comunitaria, anche ai sensi dell’art. 20, comma 3, del Codice del Consumo E’ sufficiente prendere in esame espressioni del tipo “pagamenti sicuri”, che, pur ritenute lecite, non sono considerate atte a garantire il 100% delle transazioni e così pure per il richiamato sito di enciclopedia formata dagli utenti stessi, per siti di confronto tra offerte dello stesso settore, per siti di previsioni meteo.
Non risultava, poi, dimostrata dall’Autorità alcuna decisione commerciale da parte di anche un solo consumatore che fosse stata negativamente influenzata dalla modalità di presentazione del sito in questione, in quanto era assente ogni induzione a “consumare”, come agevolmente desumibile dall’esame delle restanti quattro informazioni pure richiamate dall’AGCM nel provvedimento impugnato e ritenute idonee invece a tale scopo.
Analoga conclusione altrimenti doveva porsi per la stessa Unione Nazionale Consumatori, che non può garantire che il 100% delle segnalazioni provengono effettivamente da consumatori e non da professionisti che mirano a screditare un concorrente, fermo restando che solo una percentuale irrisoria delle recensioni su T. risultano non genuine e l’utente ha comunque modo di verificarle, provvedendo a leggere le altre sulla medesima struttura, la risposta del proprietario, la storia del recensore.
“IV. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990. Violazione del Considerando 7, e dell’ art. 2, primo comma, lett. h) della Direttiva 2005/29/CE. Eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, ingiustizia e contraddittorietà manifeste”.
Contrariamente a quanto ritenuto dall’Autorità, T. si è dotata dei migliori sistemi antifrode disponibili sul mercato, sia automatici che manuali, del tutto paragonabili a quelli adottati nel settore bancario e della carte di debito/credito.
In particolare, rinvenuta una falsità per indagine statistica che individua l'”anormalità” di un comportamento, T. provvede alla rimozione delle recensioni del medesimo soggetto nonchè alla comunicazione della riscontrata falsità, entro 48 ore, al proprietario della struttura o della “Community” interessata.
Del tutto illogica era quindi la conclusione dell’AGCM secondo cui è sufficiente anche una sola recensione falsa per rendere l’impostazione generale sulla “veridicità” inaffidabile e contraria alla diligenza professionale, secondo uno standard di perfezione del tutto irrealistico e contrario ai principi generali richiesti al professionista dallo stesso Codice del Consumo e dalla Direttiva 2005/29/CE . Né in senso contrario potevano valere gli esempi di false recensione riportati dall’Autorità perché non confacenti alle modalità di organizzazione volontaria di terzi tese a introdurre volutamente anomalie (c.d. “boosting”, “vandalism”, “optimization services”), verso cui si incentra l’attività di “security” di T., risultando le recensioni create a scopo goliardico o giornalistico, come casi isolati e non legate a “frodi reali”, le quali hanno invece scopo economico e sono quelle più perniciose perché provenienti, appunto, da terzi organizzati a tale fine.
Inoltre, le ricorrenti evidenziavano che in nessuna parte del sito si indica che solo le recensioni verificate vengono pubblicate e precisavano che viene effettuata una diligente informazione circa i limiti del proprio controllo, tramite “disclaimer” ben visibili, secondo un canone di ragionevolezza valido per l’utente medio di internet.
“V. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990. Violazione del Considerando 7 della Direttiva 2005/29/CE . Eccesso di potere per grave carenza di motivazione e di istruttoria, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, perplessità, illogicità, ingiustizia e contraddittorietà manifeste”.
Nella struttura del messaggio veicolato sul sito, il professionista e autore della condotta, ai sensi del Codice del Consumo, non è la società che gestisce il sito ma colui che scrive la recensione e che potrebbe indurre alla scelta il consumatore, non risultando contestata invece alcuna condotta orientata a far scegliere il sito T. in luogo di altro concorrente.
Né, dalla condotta contestata, le ricorrenti ricavano alcun vantaggio, dato che le censure non autentiche danneggiano in concreto loro stesse e la relativa organizzazione imprenditoriale cui si riconducono, dato che essa perderebbe facilmente utenti se la falsità delle recensioni fosse riconosciuta in misura consistente, fermo restando – come detto – che il prodotto finale scelto dagli utenti rimane comunque la struttura ricreativa e non il sito T..
“VI. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990. Violazione del Considerando 6, 7, 18 della Direttiva 2005/29/CE . Violazione del principio del giusto procedimento. Eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, perplessità, incoerenza, ingiustizia e contraddittorietà manifeste, disparità di trattamento”.
Le ricorrenti evidenziavano che, agli atti dell’istruttoria, non vi erano state comunque segnalazioni di consumatori che contestavano la pratica sanzionata ma solo denunce avverso comportamenti di proprietari di hotel e ristoranti, per cui il provvedimento impugnato era anche carente di motivazione in ordine all’effettiva lesione diretta per l’utente, come concluso per altri procedimenti istruttori relativi ad altre strutture imprenditoriali che avevano invece portato all’accertamento dell’insussistenza della violazione.
“VII. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 20, 21, 22 e 27 del Codice del Consumo, dell’ art. 11 della L. n. 689 del 1981, degli artt. 3, 5, 6, 7, 9, 10, 12, 16 delle Delibere dell’Autorità n. 23788 dell’8.8.2012 e n. 24955 del 5.6.2014 (Regolamento di Procedura) e dell’ art. 10, comma 6, della L. n. 287 del 1990 nonchè del Considerando 18 della Direttiva 2005/29/CE . Violazione degli artt. 1, 2, 3, 7, 8, 9, 10 della L. n. 241 del 1990. Violazione del principio di proporzionalità. Violazione dell’obbligo di non aggravare il procedimento. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Eccesso di potere per violazione dei principi d’imparzialità, efficienza e buon andamento della pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, genericità, perplessità, contraddittorietà e ingiustizia manifeste”.
Da ultimo, le ricorrenti contestavano l’importo della sanzione, in relazione alla valore effettivo della pratica sanzionata, al comportamento da loro adottato e al confronto con altre condotte più gravi di diversi professionisti sanzionate con importi proporzionalmente minori.
Si costituiva nei giudizi la Federazione Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (Federalberghi), chiedendo il rigetto dei ricorsi, come illustrato in specifiche argomentazioni in una memoria per la camera di consiglio.
Si costituiva in entrambi i giudizi anche l’Autorità intimata, illustrando le ragioni per rigettare il gravame in una memoria unica per la camera di consiglio.
Rinviata al merito, su istanza di parte, la domanda cautelare, in prossimità dell’udienza pubblica, le ricorrenti e Federalberghi depositavano memorie, anche di replica, ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive e alla data del 20 maggio 2015 entrambe le cause erano trattenute in decisione.
Motivi della decisione

Il Collegio, preliminarmente, dispone ex art. 70 c.p.a. la riunione dei ricorsi per evidente connessione oggettiva, essendo entrambi rivolti avverso il medesimo provvedimento che irrogava sanzione “in solido” alle due ricorrenti.
Passando ad esaminare il merito della controversia, il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo proposto nel solo ricorso n. 3118/15 dalla T.I. srl, tendente a reclamare la sua sostanziale estraneità alla pratica sanzionata, non avendo essa la proprietà o la gestione o il controllo sui servizi e contenuti di cui al sito “T.”, limitandosi a servizi di assistenza clienti e consulenza in “marketing” a fronte dello sviluppo, promozione e valorizzazione del “business T.” riconducibile alla sola società inglese “T. Limited”.
Come condivisibilmente osservato dall’AGCM, il Collegio rileva che, nel caso di specie e ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005 , è stata applicata la nozione di “professionista” di cui al relativo art. 18, comma 1, lett. b), secondo cui si intende con tale definizione: “…qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”.
Attesa l’ampia previsione della norma, che accomuna sia chi agisce direttamente sia chi agisce per conto di un professionista, nonché la condanna “in solido” e non cumulativa per la medesima violazione, è stata presa in considerazione l’intera attività riconducibile al servizio in esame e il vantaggio economico che ne consegue, coinvolgendo così anche la controllata italiana del “Gruppo T.” che comunque svolge attività inerente tale servizio, mediante assistenza clienti e consulenza “marketing” nonché, come da Statuto, supporto in relazione alle attività “online”, evidentemente in Italia ove è accentrata la competenza dell’AGCM. Inoltre, la ritenuta pratica scorretta si è consolidata sul sito italiano, in lingua italiana ed è rivolta al pubblico italiano che, accedendo al sito, porta diretti vantaggi all’intero Gruppo societario di cui fa parte anche la ricorrente T.I. srl che si è dunque avvalsa dell’intera struttura del servizio come evidenziato.
Né può valere in senso contrario il richiamo a giurisprudenza dell’a.g.o. – in quanto relativa a fattispecie diverse da quella in esame, concernenti rapporti contrattuali specifici riguardanti altri gruppi multinazionali operanti nel settore informatico di vendita di prodotti o motori di ricerca – ovvero il richiamo ad una pronuncia del Tribunale di Parigi, legata evidentemente all’applicazione della legge francese in materia.
Come detto in precedenza, inoltre, la condanna “in solido” ha evitato ogni illogicità in ordine alla disposta inibitoria, provvedendo all’uopo, eventualmente, la società che concretamente opera sul sito e una mancanza di operatività in tal senso di T.I. srl, a fronte di un adempimento dell’altra società del Gruppo, non comporterebbe alcuna conseguenza per la ricorrente, così come nell’ipotesi di pagamento integrale da parte della T. LLD, che, infatti, non propone analogo motivo di ricorso.
Passando all’esame degli ulteriori, comuni, motivi di ricorso, il Collegio rileva l’infondatezza anche del secondo (primo del ric. n. 3120/15).
Per quel riguarda il richiamo all’assenza di segnalazioni dirette di singoli “consumatori”, il Collegio evidenzia che la giurisprudenza da tempo ha precisato, con argomentazioni ampiamente condivisibili, che ai sensi degli artt. 24 e 26 del Codice del Consumo, ai fini della configurabilità dell’illecito del professionista, non occorre individuare un concreto pregiudizio delle ragioni dei consumatori, in quanto è la stessa potenzialità lesiva, al fine di evitare anche solo in astratto condizionamenti e/o orientamenti decettivi, che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito di “mero pericolo”, in quanto intrinsecamente idonea a configurare le conseguenze che il codice del consumo ha invece inteso scongiurare (TAR Lazio, Sez. I, 3.7.09, n. 6446).
Di conseguenza, non è condizione necessaria quella per cui il procedimento prenda avvio da segnalazioni di singoli consumatori, fermo restando che la stessa AGCM ben può procedere d’ufficio, che le segnalazioni possono essere veicolate, come anche nel caso di specie, da associazioni di settore e che agli atti del procedimento risultano comunque almeno due segnalazioni di singoli consumatori, secondo la documentazione depositata in giudizio.
Il numero di segnalazioni, però, se non rilevante sotto il profilo procedurale, potrà essere considerato in ordine alla incisività e ricostruzione della fattispecie per quanto riguarda la sua sostanzialità, secondo quanto sarà in prosieguo chiarito.
Restando al motivo di ricorso in esame, il Collegio non rileva le ulteriori, lamentate, criticità, in quanto le proroghe e gli accessi documentali richiesti sono stati concessi, le società interessate hanno comunque avuto modo di fornire il loro apporto mediante memorie, documenti ed audizione e non risulta oltremodo specificato quale documentazione decisiva e ulteriore sarebbe stato necessario produrre in relazione all’audizione del 18 novembre 2014 e in collegamento con la sede statunitense.
Passando ad esaminare il terzo e il quarto motivo di ricorso (secondo e terzo del ric. n. 3120/15), si entra nel “cuore” della contestazione e nella sua sostanzialità.
Ebbene, il Collegio ne rileva la fondatezza nel senso che si va ad illustrare.
Nel descrivere la pratica commerciale, l’AGCM specifica, a pag. 3 del provvedimento impugnato, che dalle risultanze istruttorie era emerso che “T. ha diffuso informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni, pur ammettendo che il professionista aveva dichiarato di non controllare “i fatti” contenuti nelle recensioni (vale a dire, evidentemente, il trattamento subito/goduto dal recensore) e che lo stesso era a conoscenza che sul predetto sito vengono pubblicate false recensioni, sia di valenza positiva che negativa (da parte di recensori che non hanno usufruito delle strutture indicate). In particolare, secondo l’Autorità, T. “utilizza informazioni particolarmente assertive, tali da accrescere la fiducia dei consumatori sul carattere autentico e genuino delle recensioni pubblicate dagli utenti”.
Tale carattere ingannevole e “assertivo” si desumeva da sei “claim” integralmente riportati, quali: “a. “Non importa se preferisci le catene alberghiere o gli hotel di nicchia: su T. puoi trovare tante recensioni vere e autentiche, di cui ti puoi fidare. Milioni di viaggiatori hanno pubblicato on-line le proprie opinioni più sincere su hotel, bed & breakfast, pensioni e molto altro”; b. “Vuoi organizzare un viaggio? Passa prima su T.. I viaggiatori della community di TriAdvisor hanno scritto milioni di recensioni sulle loro vacanze migliori e peggiori che ti aiuteranno a decidere cosa fare. Nelle nostre guide gratuite puoi trovare i preziosi consigli e le foto dei viaggiatori per guidarti alla scoperta delle più importanti mete di viaggio”; c. “Scarica le nostre guide di viaggio gratuite e scoprirari i consigli dei viaggiatori su attrazioni turistiche, hotel, ristoranti e luoghi di divertimento”; d. “T. offre consigli di viaggio affidabili, pubblicati da veri viaggiatori”; e. “Ottieni le recensioni e le opinioni dei viaggiatori sugli hotel delle città più visitate”; f. “(numero) persone hanno scritto una recensione su questo hotel”, “Cosa dicono i viaggiatori di (Città)”.
Ebbene, esaminando tali asserzioni, come osservato dalle ricorrenti e sostanzialmente non contestato nelle stesse difese dell’Autorità, si rinviene che forse solo in due di questi può individuarsi il riferimento a informazioni “assertive”, laddove si richiamano le “recensioni”, quali il “claim” “a” e quello “d”, ove si parla di “tante” recensioni vere e autentiche e di “consigli di viaggio affidabili”. Per il resto, nei rimanenti “claims” si fa riferimento tutt’al più a dati di fatto o a “opinioni” dei recensori, ove è in sé evidente il carattere meramente soggettivo dell’indicazione che esclude, in quanto tale, ogni carattere “particolarmente assertivo”.
Ma anche in quello “a” e in quello “d”, in assenza di approfondimento istruttorio e motivazionale sul punto, non è chiaro da quali elementi l’AGCM individui tale carattere “particolarmente assertivo”, distinto quindi come tale da una consueta modalità di (auto)promozione commerciale, normalmente ammessa e non sanzionata dalla stessa AGCM, come evidenziato dalle ricorrente, a titolo di esempio in ordine alle modalità pubblicitarie di siti analoghi contenenti l’illustrazione di voci enciclopediche ad opera degli stessi utenti o di siti bancari, finanziari ovvero in cui si svolgono transazioni di pagamento che fanno generico riferimento a “siti sicuri”, “siti controllati”, “pagamenti sicuri”.
Non si rinviene nemmeno “ingannevolezza” sulle fonti delle recensioni, in quanto il “claim” “a” fa riferimento a “tante” recensioni “vere e autentiche”, circostanza questa che corrisponde al vero in assenza di prova contraria fornita dall’Autorità o dagli stessi segnalanti presenti in giudizio, in quanto è innegabile che, a fronte di una percentuale di recensioni non veritiere che le stesse ricorrenti ammettono e dichiarano, sussistono certamente “tante” recensioni invece appunto “vere e autentiche”. Diverso sarebbe stato il profilo di partenza qualora, invece, il “claim” avesse contenuto espressioni del tipo ‘puoi trovare “tutte” recensioni vere e autentiche’, questo si in effetti particolarmente assertive e ingannevoli ma ciò non è, per cui valga quanto osservato.
Così pure non si riscontrano espressioni particolarmente assertive nel “claim” “d”, che richiama una generica “affidabilità”, che non può comunque escludersi a priori e che deve essere verificata per la struttura stessa del sito.
Nei restanti “claims”, poi, si richiamano, come detto, normali espressioni descrittive dello specifico servizio oggetto del sito che non presentano profili ingannevoli, quali “milioni di recensioni sulle vacanze migliori e peggiori”, “ti aiuteranno a decidere cosa fare” (evidenziando che la responsabilità finale della scelta ricade comunque sull’utente), “consigli di viaggio pubblicati da veri viaggiatori”, dato che non è posto in dubbio né tantomeno dimostrato che in detto sito non sia presente quanto descritto.
Non si riscontra poi in assoluto alcun profilo di ingannevolezza o di assertività nei “claims” “e” e “f”, che si limitano semplicemente ad indicare dati di fatto senza alcuna alterazione o enfasi, come può desumersi dalla loro semplice lettura, cui si rimanda.
A ciò si aggiunga, come rilevato dalle ricorrenti, che tali “claims” non sono posti all’immediata visione del visitatore del sito, al fine di attirarne, quindi, l’attenzione primaria, ma sono poste in sole tre pagine del sito, in specifiche sotto-sezioni.
Dalla lettura del provvedimento impugnato, inoltre, non si rinviene particolare approfondimento in ordine alle premesse che l’AGCM stessa richiama, laddove ammette che T. dichiara di non controllare “i fatti” oggetto delle recensioni e di essere a conoscenza della sussistenza di recensioni false. Tali dichiarazioni, infatti, non sono state rivolte alla sola Autorità nel corso del procedimento a propria giustificazione ma sono presenti nel sito stesso, in posizione ampiamente visibile e, come tali, evidenziano la difficoltà di verifica dell’altissimo numero di contributi ma chiariscono anche la funzione stessa del servizio svolto, che non è quella di promuovere o meno una struttura o il sito stesso in relazione ad altri ma di orientare l’utente.
Non risulta che, nel riportare i suddetti sei “claims”, l’Autorità abbia contemperato l’effetto chiarificatore e di bilanciamento che le asserzioni in questione comportavano, quali: “Riteniamo che l’elevato volume di recensioni (ne pubblichiamo in media 60 al minuto) consente ai viaggiatori di individuare le tendenze e di stabilire se una struttura è adatta alle proprie esigenze”; “T. conta milioni di recensioni e oltre un milione di hotel, ristoranti e attrazioni turistiche, sarebbe dunque quasi impossibile verificare nei fatti i particolari delle recensioni. Pubblichiamo una media di 16 recensioni e opinioni ogni minuto e riteniamo che il volume complessivo delle recensioni consenta ai viaggiatori di ottenere informazioni attendibili, individuare le tendenze tra le recensioni e stabilire se una struttura faccia o meno al caso loro”.
Al di là dell’oscillazione sul numero di recensioni al minuto, il Collegio rilava che nel sito è quindi chiaramente presente – in modalità quanto meno equivalente per visibilità rispetto ai “claims” presi a riferimento dall’AGCM – una sorta di “istruzione per l’uso”, che illustra agli utenti, anche a coloro che accedono per la prima volta evidentemente, la corretta modalità di utilizzo delle informazioni, che deve essere collegata alla quantità e alla media “ponderale” delle stesse al fine di verificarne l’efficacia e non alla semplice lettura di una sola.
Tale modalità di descrizione appare al Collegio particolarmente efficace e chiarisce cosa un utente “medio” debba attendersi dalla “navigazione” nel sito e come debba regolarsi per ottenere un’informazione attendibile ai propri fini.
Tale specifica iniziativa non risulta approfondita dall’AGCM, come detto, pur essendo decisiva, ad opinione del Collegio, al fine di interpretare sotto una corretta lente la condotta oggetto di esame che, analogamente ad altre strutture informatiche aperte alla collaborazione dell’utente, necessitano di un confronto tra il maggior numero di opinioni possibile al fine di ottenere un’informazione consona, fermo restando che la decisione finale è sempre quella dell’utente e non si rinviene alcun profilo del sito teso ad orientare una scelta piuttosto che un’altra o ad enfatizzare la propria struttura commerciale rispetto a quella di siti concorrenti, atteso che – come pure condivisibilmente osservato dalle ricorrenti – è nel loro principale interesse mantenere l’attendibilità finale di ogni giudizio, attendibilità desumibile dal confronto tra le varie opinioni espresse, come chiaramente indicato nel sito stesso.
Sulla base di tali presupposti, quindi, non appare dirimente che sia facile la registrazione sul sito e che possa avvenire anche con nomi di fantasia e su account non sussistenti, in quanto non è il singolo giudizio a dover indirizzare l’utente ma l’insieme delle opinioni espresse sulla singola struttura, come evidenziato, apparendo inverosimile che uno stesso utente utilizzi molteplici accessi “di fantasia” per recensire, in maniera positiva o negativa, una medesima struttura. In tal caso, comunque, le ricorrenti hanno dimostrato in giudizio che operano controlli manuali e automatici che rilevano l’anomalia, riconducendosi la fattispecie alle ipotesi più probabili di “boosting” o “vandalism”, legate a organizzazioni professionali che cercano di lucrare nel favorire o sfavorire le singole imprese attraverso il meccanismo legato alle false recensioni a scopo economico.
D’altro canto, esigenze di riservatezza portano ad escludere una facile rintracciabilità dell’utente che inserisce la propria recensione relativa a luogo e data del soggiorno e comunque risultano sufficienti strumenti riconosciuti ai proprietari e/o gestori delle strutture per fornire riscontri e evidenziare l’evidente illogicità di un singolo apporto “di fantasia”.
A ciò si aggiunga che è proprio la struttura della registrazione su siti “aperti” che appare di non semplice regolazione, ben potendo un utente in astratto aprire un account regolarmente e dismetterlo subito dopo la conclusione dell’operazione che a lui interessa, così come, restando al caso di specie, una singola “falsa” recensione ben potrebbe essere inserita mediante un “account” preesistente, dopo aver superato il test “captcha” e con una e-mail di uso comune, non potendo T. controllare direttamente – come dichiarato dalle ricorrenti e come infatti non contestato dall’Autorità – i fatti oggetto di milioni di recensioni.
Né appare ugualmente dirimente l’elemento su cui si è più volte soffermata l’Autorità relativo alla presenza di recensioni su strutture chiuse o inesistenti, dato che tale circostanza è sostanzialmente “neutra” per il consumatore finale che, tutt’al più, se pure esistesse una sola falsa recensione (a questo punto solo positiva), non riuscirebbe comunque ad accedere alla relativa prenotazione, essendo anche norma di buona diligenza quella di prendere contatto diretto con la struttura stessa prima di raggiungerla, non fornendo T. in genere direttamente servizio di prenotazione.
Pervenendo, quindi, alle valutazioni conclusive dell’AGCM di cui al provvedimento impugnato, si rileva che queste ritengono di sanzionare la diffusione di informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni e l’inidoneità degli strumenti e delle procedure per contrastare il fenomeno delle false recensioni.
Sul punto valga quanto detto in precedenza in ordine alla ritenuta ingannevolezza del messaggio, in quanto T. non ha mai comunicato o asserito che tutte le recensioni sono vere e autentiche, richiamando anzi l’impossibilità di controllo capillare e invitando a considerare le “tendenze” delle recensioni e non i singoli apporti, per un uso efficace dello strumento offerto.
Dall’esame della complessa struttura del messaggio proposto da T., quindi, non si rileva che esso verta essenzialmente e principalmente sulla veridicità delle recensioni, con toni enfatici, ma piuttosto che esso veicoli verso un corretto utilizzo del sito, precisando con pari grado di chiarezza, che i fatti di cui alle recensioni non sono verificabili e che l’uso più efficace del servizio è quello orientato a verificare un alto numero di recensioni per la stessa struttura di riferimento, come d’altronde dovrebbe fare un utente medio di “internet” dalla ormai ventennale diffusione di tale “rete” informatica, il quale dovrebbe diligentemente conoscere i meccanismi che operano ai fini dell’accesso alla rete stessa e le insidie insite nella particolare struttura che i c.d. “siti aperti” possono contenere sull’attendibilità dei singoli apporti, relativi alle opinioni personali espresse da utenti di ogni tipo.
Per quel che riguarda poi i sistemi di sicurezza, la stessa AGCM afferma che “…il professionista, pur dotandosi di un articolato sistema di controllo delle recensioni, non è in grado di vagliare effettivamente, e in maniera efficace, la genuinità del loro contenuto informativo, né l’attendibilità della valutazione complessiva che con le stesse si rilascia alle strutture” e che “…il professionista non è mai effettivamente in grado di verificare la veridicità delle informazioni contenute nelle recensioni, in quanto il sistema di controllo di cui si è dotato non consente di stabilire se le stesse siano il frutto di una reale esperienza turistica o l’esito di attività fraudolente o sospette”.
Ebbene, su quest’ultimo punto, le ricorrenti hanno depositato in giudizio sufficienti elementi, desumibili da una perizia tecnica, da cui dedurre che esiste un approfondito sistema di controllo concentrato sulle sofisticazioni organizzate a scopo economico, le uniche in grado, in quanto organizzate, di influire sulla media del punteggio relativo alla singola struttura. Esso è composto da un “pool” di 300 persone divise in sei dipartimenti, con 30 dipendenti che comprendono la lingua italiana. Inoltre, l’AGCM non ha mia indicato nel provvedimento impugnato e nelle sue difese quale sarebbe lo standard medio di riferimento, comune a tutti i siti “aperti”, analoghi a quello in esame, che consente di verificare effettivamente, e in maniera efficace, la genuinità dei singoli apporti.
Nel caso di specie, come sopra precisato, non si rileva alcun messaggio ingannevole sul punto, in quanto T. esplicitamente nel sito evidenzia che non è in grado di verificare i fatti (e quindi la veridicità o meno) delle recensioni, che queste costituiscono mere opinioni degli utenti e che l’affidabilità del messaggio deriva dall’esame di un numero elevato di recensioni per la stessa struttura.
Così pure l’AGCM non illustra compiutamente come l’uso del filtro “captcha” o l’eliminazione dell’iscrizione tramite “nickname” eviterebbe il fenomeno delle singole false recensioni, in quanto, come detto, ben potrebbe un utente utilizzare il proprio “account” e quindi superare il suddetto filtro per inserire una recensione non veritiera o di fantasia.
Non essendo possibile verificare i fatti riconducibili ai milioni di recensioni, come ammesso dalla stessa AGCM, non si comprende quale nocumento per il consumatore, ai sensi degli artt. 20-22 del Codice del Consumo, abbia rilevato l’Autorità nelle sua valutazioni conclusive, in quanto quest’ultimo, sin dal primo contatto, per quanto sopra riportato, viene posto in realtà in condizione di avere un quadro informativo chiaro, completo, esaustivo e veritiero in relazione alla conformazione dello specifico servizio offerto sul sito, conformazione che l’AGCM non ha sufficientemente approfondito, in tutti i suoi risvolti e in relazione ai rapporti con i consumatori e non con gli altri professionisti quali sono i gestori delle strutture.
Sotto questo profilo sostanziale, allora, e non meramente procedimentale (come nel secondo motivo), può prendere spessore l’osservazione delle ricorrenti in ordine alla assenza (in realtà, come visto, esiguità) di segnalazioni dirette da parte di consumatori, di cui al sesto motivo (quinto nel ric. n. 3120/15).
Si ricorda, infatti, che la giurisprudenza ha precisato come qualora l’episodio che ha dato luogo alla segnalazione di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario sia stato generato da un caso isolato, l’episodio stesso è da considerare di scarsa significatività e, come tale, non riconducibile – perché divenga giuridicamente rilevante – ad una vera e propria “pratica” commerciale dal carattere di oggettiva ingannevolezza (Cons. Stato, Sez. VI, 10.12.14, n. 6050 e 21.9.11).
Per l’altissimo numero di frequentatori del sito e nelle recensioni apposte nonché per il numero di anni di esistenza del sito stesso, era quindi auspicabile da parte dell’AGCM anche un approfondimento sul punto, al fine di verificare l’effettivo nocumento e la consistenza dell’illecito che riteneva prospettarsi, sotto un fine giuridicamente rilevante, per cui anche tale motivo di ricorso può trovare accoglimento.
Per mero tuziorismo, il Collegio ritiene di esaminare anche il quinto motivo di ricorso (quarto nel ric. n. 3120/15), rilevandone però l’infondatezza, in quanto nell’impostazione del Codice del Consumo e della contestazione di cui al provvedimento impugnato la condotta presa in esame è comunque riconducibile alle ricorrenti quali “professionisti” ai sensi del ricordato art. 18, comma 1, lett. b), ritenendo l’AGCM di sanzionare non le recensioni in quanto tali ma le modalità di verifica delle stesse e il relativo messaggio veicolato sul sito.
Per quanto riguarda l’ultimo motivo, comune ad entrambi i ricorsi e relativo all’entità della sanzione, attesa la fondatezza del gravame per quanto sopra dedotto che porta all’annullamento del provvedimento, può dichiararsene l’assorbimento.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la novità e peculiarità della fattispecie.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:
1) ne dispone la riunione ai sensi dell’art. 70 c.p.a.;
2) li accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato in entrambi.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Giulia Ferrari, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore[/vc_column_text][/vc_accordion_tab][vc_accordion_tab title=”Sezione 2″][/vc_accordion_tab][/vc_accordion][/vc_column][/vc_row]