La premessa è che la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 272 del 2012 non pare essersi impegnata allo spasimo per trovare una qualsiasi interpretazione che potesse mantenere lo status quo, cioè l’obbligatorietà della mediazione civile così come introdotta dal decreto 28/2010: la decisione lascia interamente ‘la palla’ al legislatore, non essendosi spinta oltre il rilievo dell’ormai noto eccesso di delega che, a quanto pare, vizia l’art. 5, 1 co., del D. Lgs. 28/2010.

Tuttavia, il ragionamento logico-giuridico utilizzato dà adito a numerosi spunti, molti ancora da cogliere.

Innanzitutto, la Corte ha ritenuto assorbente il rilievo degli artt. 76 e 77 Cost. e non ha analizzato gli altri profili, sommariamente riferibili alla compatibilità dell’art. 5, 1 co., con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.

Quindi, o la Corte non aveva voglia di entrare nel merito (a volte, spesso, i Giudici lo fanno) e ci guarderà la prossima volta, oppure si può supporre che abbia ritenuto non rilevanti le altre questioni.

Infatti, diversamente ragionando, quale sarebbe la ratio di riferirsi al difetto di delega, quando nemmeno una delega parlamentare ‘completa’ (né una legge tout court) avrebbe potuto, né potrebbe in futuro, introdurre strumenti normativi contrari agli artt. 3, 24 e 111 Cost. ?

Peraltro, sono numerosi i passaggi della sentenza (punti 12.1 e 12.2 dei Considerato in Diritto), anche in riferimento alla normativa europea, in cui si esprime la possibilità, e quindi la piena legittimità, del ricorso all’obbligatorietà della mediazione.

In tale senso, va letto il punto cruciale della motivazione, laddove si legge che “la disciplina dell’UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie”. Quindi, sono gli Stati membri che decidono se deve essere obbligatoria o meno, perché ‘neutrale’ significa certamente ‘legittimo’, in virtù del principio di legalità. In questo, la Corte ravvisa, dunque, la compatibilità di un modello di mediazione di tipo obbligatorio con la normativa Europea. Prima fra tutte, la direttiva 2008/52/CE (art. 5, 2 co.), secondo cui: “La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.

Anche il richiamo alla legislazione nazionale (punto 13 dei Considerato in Diritto), è improntato ad un atteggiamento fondamentalmente neutro (o lassista, o liberale, a seconda dai punti di vista).

Da un lato, il riferimento della legge delega al sistema introdotto dal D. Lgs. 5/2003 (cd. conciliazione societaria) non si rivela idoneo a superare il difetto, poiché la norma identificava un procedimento di tipo convenzionale (da contratto o statuto), quindi fondamentalmente volontaristico. Però, vi sono molti altri campi in cui l’obbligatorietà è non solo ammessa, ma anche lodevolmente adottata dal legislatore, dice la Corte. E lo fa, richiamando il proprio precedente (sent. 276/2000), sul tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie in materia di lavoro, e affermando che, se l’obiettivo esplicito del legislatore delegante fosse stato quello di sgravare il carico degli uffici giudiziari, non ci sarebbero controindicazioni all’introduzione della mediazione obbligatoria, dal momento che, dice la Corte, ciò non contrasterebbe con l’art. 24 Cost. Solo che, prosegue, non si può dare per implicito questo aspetto, visto che la delega non ne parla e non può dirsi che si tratti del ‘coerente sviluppo di un principio già presente nello specifico settore’ (come invece nel diritto del lavoro, sub-fornitura, telecomunicazioni e molto altro), trattandosi, invece, di “istituto di carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie” (perché, invece, le controversie di lavoro non sono di ‘numero consistente’?).

Va bene, per questa volta vogliamo giustificare: è mancato il coraggio. Ora tocca al legislatore, e, nella sua funzione delegata e/o di urgenza, anche e sopratutto al Ministro della Giustizia, se ha a cuore lo stato della giustizia civile.

Un ultimo accenno, ad un brutto passo falso della Corte, dovuto probabilmente a disattenzione: la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 5, 1 co., travolge con sé tutti i richiami contenuti nel D. Lgs., tra cui (insieme ad altri ovvi) “… h) dell’art. 8, comma 5, del detto decreto legislativo …” (sanzioni processuali, in capo alla parte chiamata in mediazione e non aderente).

Quindi, non solo dell’ultima parte, di recente introdotta (D.L. 13 agosto 2011, n. 138), in cui era prevista la condanna a pena pecuniaria nei confronti della mancata partecipazione senza giustificato motivo “nei casi previsti dall’articolo 5” , ancorché l’art. 5 (e non l’art. 5, comma 1) comprende anche i casi della mediazione delegata dal Giudice e della mediazione convenzionale, da contratto o statuto. Ma anche della prima parte (“ … il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, c.p.c.”) che mai nessuno ha ipotizzato, nel silenzio della norma, si dovesse riferire alla sola ipotesi di mediazione obbligatoria.

Quindi, secondo la Corte, è illegittimo costituzionalmente che il Giudice colga elementi negativi di condotta processuale, dal fatto che una parte che ha sottoscritto una clausola di mediazione (o ha aderito all’invito del Giudice) non si presenti, senza alcun motivo, in mediazione. E’ evidentemente un errore, ma anche un assist alla parte che mette in atto tutti i giochetti per sfruttare la lungaggine del processo, in violazione dell’art. 111 Cost.

Infine, un colpo al cerchio, uno alla botte: l’intervento nel giudizio di legittimità del C.N.F. (pagato dagli iscritti), dei vari CdO e Cciaa, è stato dichiarato inammissibile, poiché “i rapporti sostanziali dedotti in causa … possono anche riguardare interessi professionali della classe forense [legittimissimi, ma di scarso rilievo costituzionale, nda] … ma concernono più in generale le posizioni che le parti intendono azionare nel processo e non mettono in gioco le prerogative” dei suddetti soggetti.

Si ringrazia per il contributo, l’avv. Alessandro Martini